Calafuria

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CALAFURIA
(Racconto d’estate)

di Giulia Caruso

Andare o non andare? Partire o dormire?
Siamo in tre. Io, Federico e il legionario, fermi su una banchina del porto che sembra galleggiare nelle nebbie del primo mattino con gli occhi pieni di sonno e la pancia gonfia di litri e litri di birra scura.
“ Partire” dice Federico”
“Eccolo! Fa presto a parlare, lui che ha i soldi. Gli basta saltare sul primo aereo”. Il legionario ha un filo di voce arrochito dall’ultima canna delle cinque.
Federico lo fulmina con un’occhiata e si gira in direzione del sole che comincia a fare capolino da est.
“E se si partisse a piedi, ora in questo momento, vediamo dove s’arriva, magari fino a Genova”
“Io ci sto” grugnisce il legionario che è riuscito finalmente a ritrovare tutta la sua voce.
Il legionario che in realtà si chiama Daniele, si è ormai svegliato del tutto e si piazza davanti a me e Federico. Lo guardo e mi sembra di vedere un piccolo lampo di malizia nei suoi occhi scuri.
“E allora vediamo fin dove siete capaci di reggere senza crollare. Si parte!”
Nella vita il legionario fa il mulettista in una conceria. Nel tempo libero , gioca come mediano di mischia nel Rosignano Rugby Club.
Lo chiamano legionario da quando, a diciott’anni, annunciò in pieno Bar Marione la sua decisione di andare a Marsiglia per arruolarsi nella Legione Straniera. Era sicuro che l’avrebbero spedito ad Ajaccio ad addestrarsi duramente, sognando avventure tra dune e beduini. Poi erano scoppiate le Sante Guerre per il Petrolio che avevano incendiato il Mediterraneo e il deserto a Oriente, fino ai pozzi iracheni.
Così Daniele si era arruolato nei parà a Pisa, “tanto per non annoiarsi” come diceva lui. Tutti pensavano che come minimo, sarebbe partito per l‘Afganistan.
Per due anni nessuno aveva più saputo niente di lui.
Era ricomparso all’improvviso una sera di agosto, in terrazza Mascagni, piombando addosso a me e Federico e sommergendoci in un abbraccio di muscoli e sudore.
Quella notte avevamo fatto baldoria fino alle sei in un pub della Venezia.
Io invece, nella vita faccio lo schiavetto nel negozio di articoli nautici di mio padre.
Articoli per le barche dei signorotti arricchiti e ignoranti, come dice con disprezzo mia madre, lei che in realtà l’ha sempre sognata e sospirata, una bella vita da signorotta.
Ogni sabato anche lei viene in negozio per salvarmi da mio padre.
“ Ivan, un maltrattare ir ragazzo, sennò prima o poi ti scappa. T’hai bisogno di lui ovvia, visto che sa mandare i compiuter e tu no!”
Federico invece, dopo una laurea in economia alla Normale, aveva deciso che meritava un anno sabbatico in giro per il mondo.
Alla fine, era sbarcato a Londra, dove aveva vissuto facendo il webmaster per una misteriosa company on line. Poi dopo qualche anno, era ritornato a Rosignano e da allora non si era più mosso. Il suo motto che cita sempre, a proposito e anche a sproposito, è: “voglia di lavorare saltami addosso!” Quando può, vola a N Y.” Dove, dice lui, fa sempre una full immersion qua e là per vedere come girano veramente le cose, tra Manhattan e Wall Street.
In realtà ci va solo per fare quel cavolo che gli pare.
Noi, tre trentenni all’alba di una domenica d’estate.
Nessuna donna da dimenticare, nessun pargolo da far crescere, meno male.
Tre pacchetti di sigarette, una carta di credito, la mia, mentre Federico gira con il portafogli vuoto e il legionario con un biglietto da cinquanta euro in tasca.
Cominciamo a camminare mica tanto convinti …
”Di questo passo arriviamo tutt‘al più a Calafuria”dico ormai lucido,la canna delle cinque e un quarto perfettamente digerita
“Ma va, arriviamo dove arriviamo, dice il legionario. Sono un camminatore, io, mica come te che di solito non stacchi il culo dal sedile della macchina”.
Nel frattempo ci lasciamo la darsena alle spalle ma mentre imbocchiamo la provinciale, il legionario si ferma di botto.

” Ho fame”
Federico si gira, lo squadra dalla testa ai piedi e viceversa.
“Casomai perdi qualche grammo di lardo…. Non sarebbe mica male”
Il legionario dall’alto della sua rispettabile stazza di rugbista, alza le spalle .
“ Sarà, ma senza carburante io non mi muovo, dai facciamo una tappa da Salgari”
“Siii. Salgari!! Magari, tra un cornetto e un panozzo , ci racconta una delle sue storie pazzesche”.
Salgari in realtà, si chiama Beppino. Di madre corsa e padre livornese, aveva trascorso la sua infanzia tra i cantieri Orlando, dove lavorava suo padre, le corse sul mare e i tuffi dagli scogli. A vent’anni se l’era squagliata a fare il cameriere sulle navi da crociera. Poi dopo, una lunghissima serie di mirabolanti avventure intorno al mondo come diceva lui, a cinquant’anni era ritornato a terra e aveva aperto un bar caffetteria panineria a due passi dalla darsena.
Salgari, che qualcuno aveva soprannominato così in onore dell’ autore di Sandokan, oltre a raccontare storie incredibili tra terra , cielo e mare, aveva i panini migliori della costa tra Pisa e Livorno e il grande pregio di essere sempre aperto anche la domenica mattina.
Anch’io come Salgari, me la sono squagliata a vent’ anni. Prima a Barcelò e poi a Siviglia, ma ben presto, avevo finito i soldi.
Poi avevo incontrato Beatriz.
Sembrava una Carmen Maura in miniatura e dell’attrice preferita da Almodovar, aveva il temperamento e una scintilla di quel fuoco
che la rendeva appetibile anche di prima mattina dopo una notte di birra e rhum.
Beatriz, come me, non aveva praticamente un soldo ma in compenso aveva un giro di amiche che in quanto a soldo, non se la passavano poi tanto male.
In quanto a me, se non ero in giro a ciondolare tra concerti e locali, passavo il tempo a saltare da un letto a un altro e viceversa.
In compenso avevo sempre qualche biglietto da cinquanta euro nel portafogli, da sputtanarmi come mi andava.
Ogni volta che raccontavo questa storia, il legionario mi guardava come fossi uno scarafaggio.
“ Facevi il gigolò” sibilava con aria schifata.
Io contrattaccavo senza pietà.
“ Alla faccia vostra che all’epoca non sapevate dove battere la testa! Tu in caserma, rapato come una zucchina a farse flessioni tra gli sfottò dei “nonni” e quell’altro a sgobbare per la laurea, con suo padre che gli urlava dietro che tanto c’era sempre una scrivania al Monte dei Paschi casomai andava tutto storto. Io invece, la vita me la mangiavo a morsi, razza di vegetali che non siete altro !.”
Ma stamattina, Beatriz e le sue amiche sembrano lontane anni luce, in un’epoca remota, persa nelle nebbie della storia.
E invece, è un bel presente quello che ho davanti.
Il sole di giugno che comincia a pizzicarmi la pelle. Federico che sghignazza al mio fianco. Finalmente una giornata da spendere come ci pare e che passeremo a tuffarci dagli scogli di Calafuria dove il mare sembra di cristallo verde.calagente
Intanto arriviamo da Salgari che oggi insieme al cornetto e cappuccino, ci racconta di quella volta che sfidò a braccio di ferro un tizio grosso il doppio di lui, noto per essere tra peggiori trafficanti di coca di Tangeri, vincendo un sacco di soldi. E per finire in gloria, anche di quell’altra volta che durante una crociera, una figa americana, quarant’anni fatti bene, piena di soldi, impazzì per lui a tal punto da regalargli un cartier e voleva mollare il marito per venire in Italia ad aprire una catena di pizzerie extralusso per gabbioni americani in Piazza San Marco a Venezia, piazza Signoria e magari davanti al Colosseo
“La stronza ! Figurati se mi lasciavo mettere il guinzaglio da una come lei”
“E forse sarebbe stato meglio caro Salgari, hai dato un calcio alla fortuna” dico mentre mi ingozzo con un cornetto alla marmellata.
“Deh, allora tu mi vuoi male”. Ride mentre mi batte una pacca sulla spalla. E per poco non rischio di strozzarmi.
E Federico aggiunge maligno:
“Perché l’ha sempre sognata anche lui l’americana piena di soldi, da bravo gigolò qual’era , a vent’anni”.
“Zitto tu, tanto il gigolò non lo potresti mai fare, tanto non ti si filerebbe nessuna”
“Bboni, implora Salgari, non vorrete cominciare a litigare di prima mattina?”
“O Salgari ! Anch’io, se ci arrivo alla tua età, forse mi metterò a raccontare storie come le tue. Intanto facci vivere”
Via, via ragazzi, andiamo a fare un tuffo a Calafuria…. Ci si sveglia davvero !
Ma stavolta invece che andare a piedi, io e Federico inforchiamo il mio scooterone, mentre il legionario salta su una scarcassata harley davidson che forse apparteneva a qualche soldato americano di stanza a Camp Derby negli anni settanta.
E poi piombiamo nel verde e nel blu ridendo come pazzituffo
Mentre riemergo dall’acqua cristallina, schegge di sole mi bucano gli occhi nel bagliore dell’azzurro di mezzogiorno.
Gocce d’acqua come diamanti , brillano sulle mie braccia. Galleggio, mi sdraio sul dorso, mi immergo e riemergo. Fendendo l’acqua con lunghe bracciate assaporo il ritmo del mio respiro, il gioco dei muscoli e dell’acqua cristallina.

Intanto gli scogli cominciano a popolarsi. Belle bimbe livornesi tutte smutandate che si spalmano di nivea per abbronzarsi meglio… gente
Prima di immergermi di nuovo, guardo i miei amici.
Il legionario si lanciar a bomba da uno scoglio alto tre metri e finisce col piombare alle spalle di una ragazza abbrustolita dal sole e con il ventre tatuato che lancia uno strillo, ride e si immerge tra gli schizzi.
Federico si allunga pigro stirandosi come un gatto: ha trovato uno scoglio comodo a conca, giusto per accogliere il corpo meglio di una poltrona
“O Dio, che benedizione di giornata,un miracolo”, dico a voce alta. imare
Mi sembra di rinascere dopo secoli di malinconia noia e rabbia. Che bello, prima o poi ripartirò per andarmene in giro per il mondo ma ora, ora, caro Dio, fammi godere il mio mare !

….. PRECISAMENTE A CALAFURIA!!!

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